mercoledì 29 aprile 2015

INTERVISTA AD UNO SCAFISTA




 di Jacopo 
 
Sono Marco Rossi, inviato dal Corriere della Sera sulla costa della Libia, per capire cosa sia successo al barcone appena affondato, vi ricordo: 150 morti, 40 feriti e 3 sopravvissuti. Tra la confusione ho individuato il presunto scafista, e sono riuscito ad intervistarlo.

Come ti chiami?
"Mi chiamo Samir Mohamed".

Hai una famiglia?
"Sì, ho tre bambini piccoli: una femmina di 5 mesi e due gemelli di 7 anni. Vivono a Tripoli. Faccio questo “lavoro” per portare a casa dei soldi, siamo molto poveri".

Quanto hanno pagato per salire?
"Mi vergogno a dirlo per la fine che hanno fatto, ma per ognuno abbiamo preso 3 mila euro, quindi, se si imbarcano 150 persone, la traversata vale 450 mila euro".

Abbiamo preso…? Che significa, in quanti siete?
"Certo… voi dell’Onu pensate che quei soldi vadano a noi e alle nostre famiglie, invece noi prendiamo solo l’un per cento di quel denaro. Veniamo sfruttati da  persone potenti di cui non posso fare il nome".

Di che paese sei?
"Sono di origine somala, mi sono trasferito qualche anno fa a Tripoli con la mia famiglia".

Quanti viaggi hai fatto?
"Ne ho fatti due, uno è finito bene, abbiamo portati tutti nelle acque italiane dove sono stati soccorsi; questo invece è andato molto male".

Non ti senti in colpa per tutti questi morti?
Nell’accordo non si garantiva l’arrivo in Italia, era solo una possibilità. Queste persone sono disperate, scappano dalla guerra e da una morte certa: per loro la speranza di arrivare in Italia supera ogni paura.

Cambieresti qualcosa nella tua vita?
"Non cambierei niente, ho dei figli fantastici e una moglie che amo. Vorrei non essere costretto a fare questo “lavoro”".

Cosa vuoi dire al mondo?
"La vita non è sempre bella, e alle famiglie di questi morti voglio dire solo una cosa: Abbiate fede, li rivedrete un giorno, e ora sicuramente stanno meglio!”


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