sabato 4 ottobre 2014

L. GARLANDO, PER QUESTO MI CHIAMO GIOVANNI

Scheda di lettura
di Jacopo

Identikit
Titolo: Per questo mi chiamo Giovanni
Autore: Luigi Garlando
Casa Editrice: Best BUR Rizzoli
Anno di stampa: 2004

Descrizione di un personaggio
(Rocco Chinnici, magistrato collega di Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia nel 1983 – pag. 55/56)

“L’omertà è la più grande qualità dell’uomo d’onore: nun lu sacciu, non lo so, non ho visto. Per me è vero il contrario: la più grande qualità di un uomo è aiutare la giustizia a punire i colpevoli e a liberare la gente dalla paura dei prepotenti. Per fortuna quando Giovanni arriva al tribunale di Palermo, trova qualcuno che la pensa così. Si chiama Rocco, è un magistrato già anziano, ma duro come la roccia, uno che non ha paura di nulla. Non gli interessa fare carriera o tenersi buoni i potenti della città. Il suo mestiere è fare giustizia e solo quello gli interessa. Sai quei vecchi sceriffi del West che non si fanno corrompere e prendono a calci nel sedere anche i giovani pistoleri? Rocco era cosi. Al mostro non piaceva affatto perché non poteva raggiungerlo coi suoi tentacoli: impossibile spaventarlo e tanto meno comprarlo. E poi faceva spesso una cosa che il mostro proprio non poteva sopportare.”
“Andava a scuola”
“Rocco andava nelle scuole di Palermo a spiegare cos’è la mafia…”


Dialogo
( Il papà racconta a Giovanni la storia di Giuseppe, rapito dalla mafia, ucciso e sciolto nell’acido – pag. 48/49)

“Papà si chinò un’altra volta verso lo zaino e questa volta tirò fuori un fotografia, un piccolo calciatore di Subbuteo e una bustina di aspirina. Mi passò la fotografia che ritraeva un ragazzino a cavallo, con gli stivali e il cappellino da fantino, mentre saltava un ostacolo. Un gran bel salto. Doveva saperci fare, quel ragazzino.
“ Si chiamava Giuseppe. Aveva qualche anno più di te. Gli piacevano moltissimo i cavalli. Non aveva fatto niente di male. Sai qual era la sua unica colpa? Essere figlio di suo padre.”
“Che razza di colpa è? Anch’io sono figlio di mio padre…”
“ Ma Santino, il papà di Giuseppe, era un uomo d’onore e la sua famiglia era in guerra con un’altra famiglia. Per punire Santino, il mostro ha fatto sparire suo figlio.”
“Sparire come?”
“Per anni è rimasto un mistero. Un caso di “lupara bianca”. Quando una persona sparisce nelle mani della mafia e non si sa che fine abbia fatto, si dice così: “lupara bianca”. La fine di Giuseppe è rimasta un mistero, poi un giorno un mafioso finito in carcere raccontò la verità e svelò come lo avevano fatto sparire.”
“Come papà?”
“Così.”
Papà strappò la bustina, tirò fuori il dischetto d’aspirina, versò un po’ d’acqua nel bicchiere e ci  buttò dentro l’aspirina che comincio a frizzare.
“Cosa significa?”
Papà non rispose. Restò a fissare il bicchiere, serio, finche il dischetto bianco non si sciolse del tutto e l’acqua tornò limpida. Restai a guardare anch’io in silenzio.
“Hanno messo il corpo di Giuseppe in un bidone pieno d’acido, un liquido capace di sciogliere qualsiasi cosa. E alla fine di Giuseppe non è rimasto più nulla.”
“Si è dissolto come questa aspirina.”
“Come questa aspirina. Non è rimasto più nulla.”
“Ma era un bambino”
“E non è ancora tutto.  Voglio che tu capisca subito che razza di mostro sta per combattere Giovanni. Chi ha ucciso Giuseppe, l’ha tenuto in casa sua per settecentosettantanove giorni: gli dava da mangiare e alla sera giocava con lui ai videogiochi.  Un bel giorno gli ha messo una corda attorno al collo, lo ha strangolato e poi lo ha gettato nel bidone dell’acido. Capisci?”
No che non capivo. “Come si fa a uccidere un bambino che ha per due anni ha mangiato con te?”
“Ricordati cosa diceva quel vecchio vocabolario: bestie, non uomini. Gente che uccide parenti con un fucile da lupi e lascia i cadaveri tra i maiali. Animali tra gli animali. Anzi, peggio. Perché gli animali uccidono per fame e per istinto, mentre i cosiddetti uomini d’onore, che a differenza delle bestie possono pensare, uccidono per odio e fame di potere. Giovanni non voleva lasciare la sua città nelle mani di questa gente. Voleva che un giorno anche a Palermo valesse una legge sola: la legge giusta. Per questo ha speso tutta la sua vita a combattere il mostro.”  

Descrizione di un luogo
(Capaci dopo l’attentato di sabato 23 maggio 1992- pag. 118/119)

         Salimmo sul gippone, ma papà non mise in moto. Prese lo zaino e tiro fuori un vecchio giornale. In prima pagina c’era una foto enorme, quadrata. Riconobbi i due cartelli verdi che avevamo proprio davanti al gippone: quello con la scritta “Palermo” e la freccia dritta e quello con la scritta “ Capaci” e la freccia piegata verso destra. Il resto era tutto diverso, a cominciare dalla strada che non si vedeva più: neppure un pezzetto di asfalto, solo zolle di terra, come nei campi quando passa il trattore. E in mezzo a quel campo si vedevano due auto senza vetri, bruciacchiate, mezze accartocciate come le vedi dagli sfasciacarrozze, mezze ricoperte di terra. I guardrail non erano più belli dritti ai lati della strada, ma si attorcigliavano nel campo come serpenti di ferro.
         La terra che stava sotto aveva coperto l’asfalto che stava sopra. Come mi aveva detto papà: Palermo è una città a testa in giù. Gli skateboard che dovrebbero servire ai bambini per giocare qui li usano i grandi per sistemare le bombe; i bambini che dovrebbero vivere più dei grandi, qui spariscono come aspirine. Anche i due cartelli verdi e le loro frecce spiegavano che il mio è il mondo dell’incontrario: gli uomini – bestie proseguono dritti fino a Palermo a fare festa, gli uomini capaci si fermano qui per sempre. Forse è un pensiero stupido, ma questo mi venne in mente davanti al giornale che papà aveva tirato fuori dallo zaino.

Incipit

          “Papà entrò in camera mia dopo cena. Seduto alla scrivania, stavo ripassando la lezione di storia.”

Ultime righe

“…Ora siamo noi che condividiamo un segreto ed è papà a non conoscere la vera storia del mio peluche.
         Un giorno gliela racconterò. Quando compirà cent’anni, credo.”

Valutazione analitica

Ho trovato questo libro molto originale e interessante: raccontare con parole semplici ad un ragazzino che ha soltanto dieci anni che cosa è la mafia, come condiziona la vita in Sicilia, e soprattutto quale è stata la vita di Giovanni Falcone, un grande magistrato che l’ha combattuta.
Per me Giovanni Falcone è stato un eroe e ha lasciato un messaggio di coraggio e di speranza.
Il libro mi piaciuto tanto, e lo consiglierei a tutti quelli come me, a cui piacciono le storie contemporanee.

Valutazione olistica

*****

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