L'infinito
di Giacomo Leopardi
L'INFINITO |
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare. |
Caspar David Friedrich - Wanderer above the sea of fog (1808)
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érmo (o èrmo) agg. e s. m. [forma sincopata di eremo], poet. –
1. agg. Solitario, deserto, abbandonato, detto di luogo: Cercai per poggi solitari et e. (Petrarca); l’erme Torri degli avi nostri (Leopardi); Sempre caro mi fu quest’e. colle (Leopardi); ne l’e. solenne Certosa (Carducci). Raram. riferito a persone: O mia sola e. famiglia! (Pascoli).
2. s. m. Variante poco com. di eremo.
1. agg. Solitario, deserto, abbandonato, detto di luogo: Cercai per poggi solitari et e. (Petrarca); l’erme Torri degli avi nostri (Leopardi); Sempre caro mi fu quest’e. colle (Leopardi); ne l’e. solenne Certosa (Carducci). Raram. riferito a persone: O mia sola e. famiglia! (Pascoli).
2. s. m. Variante poco com. di eremo.
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