sabato 18 ottobre 2014

UNA GIORNATA DEI MIEI TRENTA ANNI 1

I trenta anni di Jacopo chirurgo

       Ero in sala operatoria a salvare la vita di un povero bambino con un tumore maligno ai polmoni.
         “Pinze.”
         “Tenga.”
         “Lo stiamo perdendo, passi il bisturi.”
         Vidi ad un certo punto il cuore fermarsi, rimasi fermo e incredulo. Ad un certo punto mi uscì una lacrima: mi attraversò tutta la guancia, la feci scendere, e infine cadde sul piedino del piccolino. Non avevo mai pianto per un bambino,  ma per lui sì, era il mio Giacomino.
         Uscii dalla sala operatoria piangendo, vidi mia moglie Eleonora, e le feci di no con la testa. Lei cadde a terra piangendo.
         La presi in braccio e la portai in macchina. Arrivammo a casa di mia madre, che era la più affezionata a Giacomo oltre a noi: era lì pronta a consolarci, piangemmo tutta la notte.

Ore 8.00 -  Mi svegliai di soprassalto, vidi mia moglie dormire ancora, e il piccolo Giacomino poltrire come un ghiro, indossava il  suo pigiama preferito: una maglietta con la scritta Superman e i pantaloni a righe. Era stato un incubo fortunatamente.
         Li svegliai tutti e due e dissi loro che saremmo andati a fare una gita al mare. Ci preparammo e partimmo verso Lerici. Arrivati là, facemmo tanti bei bagni e dopo un picnic tornammo a casa tutti  felici.


I trenta anni di Sofia insegnante

     Sono sulla terrazza di casa mia; dopo le medie mi sono trasferita a Venezia per il lavoro di mio padre.  Sono passati trent’anni da quando  vivevo  a Milano e ho deciso di tornare. Sinceramente sono molto cambiata da quando frequentavo le scuole medie: ora ho 30 anni, sono abbastanza alta, ho i capelli corti e ho tolto definitivamente gli occhiali. Per il resto sono sempre io: mi piace la musica moderna e gli animali. 
     Dopo le medie sono andata al liceo linguistico di Venezia dove, dopo la maturità, mi sono laureata  in lingue. Ora sto cercando lavoro come insegnante: a Venezia non ci sono posti liberi e quindi ho deciso che anche per cercare lavoro sarei  andata a Milano.  Anche se mi sono trasferita a Venezia,  ho ancora dei buoni contatti con tutti i miei ex compagni di classe delle medie. 
        E’  l’11 agosto 2031:  mi sono svegliata come tutte le mattine, con una bella leccata da Kira, il mio cane. È una cagnolina bellissima, ha il pelo dorato e gli occhi marroni. Quella mattina non sarebbe stata come tutte le altre, io e Kira saremmo tornate a Milano.  Mentre preparo le valige mi arriva un messaggio:
      <<Ciao, Sofia, sei già partita?>>  E’ Maria, una mia ex compagna di classe, io le rispondo che sono in partenza e sarei arrivata per l’ora di cena.  Entro in macchina, una Jeep verdastra con grosse macchie di fango qua e la sui parafanghi,  accendo  la radio e incomincia il lungo viaggio.
     Verso le 20.00 arrivo a Milano, prenoto una stanza all’ Hotel Doria, un hotel vicino alla mia vecchia casa, faccio  un giro del quartiere e noto come è cambiata la mia zona da quando mi sono trasferita a Venezia: hanno  costruito tanti grattaceli, il parco dove io andavo a giocare da bambina è  diventato un grosso parcheggio e tutti i negozi sono  cambiati:  non c’era più Grom, la gelateria dove andavo sempre a prendere quei grossi gelati al gusto cioccolato e stracciatella.. un po’ mi dispiace che la mia zona sia cambiata così tanto.
      Dopo qualche ora mi arriva un altro messaggio:
      <<Sei arrivata?>> Questa volta è Arlene, sempre una mia ex compagna di classe, io rispondo di sì e le dico dove mi trovo.  Prima di rientrare nell’ hotel sento una voce che mi chiama:
        <<Sofia, Sofia!!!>>  Io mi giro e vedo Michele che mi dice:
        <<Ti va di venire a mangiare una pizza?>>
       <<Sì>> rispondo  io; sinceramente ho un po’ di fame: durante il lungo viaggio non mi sono neanche fermata a mangiare.   Arrivati in pizzeria mi ritrovo tutta la mia  ex classe che dice:
        <<<Auguri, Sofia!!!>>
     E’ il mio compleanno! Mi si è quasi fermato il cuore da quanta gioia provo: tutti i miei amici si sono  ricordati che oggi è il mio compleanno!!! Non me lo sarei mai aspettato. Abbiamo parlato a lungo ci siamo raccontati tutta la nostra vita dopo le medie: c’è chi si era sposato e ha dei figli, chi è diventato un importante avvocato e chi ha un’azienda molto lussuosa, c’è chi, come me, deve trovare un lavoro e chi deve ancora finire di laurearsi perché ha abbandonato gli studi.
     È  stata una festa bellissima, mi sono divertita  tantissimo:  non me la scorderò mai. 

I trenta anni di Beatrice attrice

            Suona la sveglia. Bea, assonnata, si alza sollevando il piumino caldo e avvolgente. Dalla finestra entra una luce chiara e calda: è l'inizio di una bellissima giornata. Nica si stiracchia scodinzolando. Stropicciandosi gli occhi, Bea si dirige in bagno, si lava la faccia e si pettina i capelli lunghi e mossi, con le punte azzurre. Si mette i pantaloncini corti e una maglietta sportiva  rossa, esce di casa senza far rumore con le cuffiette alle orecchie, allacciando il collare a Nica.
            Bea e Nica corrono per una mezz'oretta sul ponte vicino a Tribeca. Qualche anno prima ci passava la metropolitana, ma ora è una splendida zona pedonale, soprattutto nelle prime ore della mattina, quando l'alba sta per finire ed è rimasta ancora l'aria fresca della notte.
           Dopo aver fatto la sua corsetta mattutina, Bea si prepara e si lava, ed esce di nuovo per le strade di New York. Si ferma allo Starbucks, prende un caffè lungo e si dirige verso Broadway: una giornata del suo fantastico lavoro la attende. Si è truccata poco, solo un po' di mascara sulle ciglia. Camminando ammira la bellezza dell'Empire State Building, altissimo e maestoso. La mattina a New York è tutta un'altra storia: la luce si riflette sui grattacieli; gente di tutti i tipi cammina sui larghi marciapiedi: alcuni prendono il giornale, alcuni portano fuori il cane, altri invece, come Bea, si dirigono al lavoro, bevendo il caffè bollente.
            Entra nello studio: tanta gente indaffarata che gira silenziosamente con luci, scale e attrezzi per la scena. Ci sono praticamente tutti: truccatori, stuntmen, tecnici della luce e del suono, comparse, cameramen e in fondo, seduto su una sedia pieghevole con su scritto a caratteri decisi “DIRECTOR”, c'è il regista. E' l'unico che parla ad alta voce, è sempre serio e concentrato, con in mano i copioni. Bea incontra anche Matt e Barbara, i due attori protagonisti, insieme a lei. Il set è pronto, la solita scena che provano da due giorni perché non è mai perfetta. Bea si siede e le fanno il make-up. E' quasi un'altra persona: occhi truccati di tanti colori e ciglia lunghe e colorate. Indossa il vestito del set, bellissimo, nero e lungo.
            “Ciak uno! Si gira!” Finalmente le scena viene perfetta. Per tutta la mattina si girano le scene più avvincenti, persone con costumi favolosi e trucchi appariscenti girano per il set. All'una e mezza si ferma tutto per l'ora di pranzo. Bea va al bar dello studio cinematografico e prende un panino. La giornata di lavoro finisce alle sei e mezza.
            Tornando a casa, Bea incontra Tom che porta a spasso Nica; li saluta entrambi, lui e Bea stanno insieme da un anno e mezzo. Decidono di fare una passeggiata al Central Park, chiacchierando della giornata. Sta iniziando la primavera, i colori degli alberi sono luminosi e sgargianti e l'atmosfera è fantastica: gente che si allena, legge, cammina e va in bici. Quando si entra a Central Park ci si scorda di essere a New York. Bea è un po' stanca, ma non le importa, le basta stare con loro e fare il suo lavoro stupendo, come aveva sempre sognato.

I trenta anni di Cecilia cardiologa
   L’odore inebriante di caffeina mi fa aprire gli occhi: un buongiorno magnifico. Mi alzo e mi dirigo verso la cucina. Filippo, mio marito, mi ha preparato una colazione squisita: ci sono due croissant, farciti con il cioccolato, appena sfornati e il caffè è una dei più buoni e intensi che abbia mai bevuto. Con l’acquolina in bocca mi siedo al tavolo; di fronte ho una magnifica vista: Filippo è intento, come non mai, a tagliare due fette di bacon. Intravedo due goccioline di sudore che gli rigano la fronte per poi andarsi a posare delicatamente sul suolo. Gli do un piccolo bacio e dopo mi metto ad assaggiare tutte quelle delizie.
      Finita la colazione più bella e più buona della mia vita, mi alzo e vado in bagno a lavarmi.
     Dopo aver scelto i vestiti e perfezionato il trucco, mi dirigo verso Filippo per salutarlo. Mi fermo a osservarlo: è proprio bellissimo. Ha dei lineamenti dolci e fini, una bella bocca carnosa, gli occhi color verde intenso e una carnagione molto chiara. I capelli biondi, con qualche richiamo dorato, leggermente ondulati, gli cadono leggeri otto le orecchie.
     Guardo l’orologio e mi rendo conto che è davvero tardissimo; controvoglia mi privo di quella magnifica vista e, dopo averlo salutato per bene, esco di casa per andare al lavoro.
     Quando mi fermo a un semaforo,  penso a quanto sono fortunata ad avere un bel lavoro, nonostante la crisi che c’è in giro. Sono riuscita a laurearmi in medicina ventiquattro anni e adesso lavoro come cardiologa in una clinica per persone, soprattutto bambini, malati di cancro. Mi piace il mio lavoro perché oltre a passare tanto tempo con le persone , cerco di dar loro una speranza, una ragione per cui lottare, ma, a volte, mi affeziono in particola modo ai pazienti e finisco per piangere quando purtroppo non ce l’hanno fatta.
    Arrivata in clinica, saluto Hanna, la mia migliore amica, e mi dirigo nella stanza di Harry, il mio paziente preferito. Ha dodici anni e convive da tre anni con un tumore al cervello: è un ragazzo simpatico, ottimista e speranzoso. Facciamo bei discorsi e spesso lo porto alla biblioteca per ragazzi perché gli piace molto leggere. Il suo libro preferito si intitola “Segui il tuo cuore”: lo ha letto circa nove volte. Nonostante la chemioterapia, è un bel ragazzo: gli occhi sono neri come la pece, ma molto profondi e i suoi lineamenti sono già quelli di un uomo.
   Dopo aver passato un’intera mattinata con Harry, io e Hanna andiamo a mangiare al nostro bar preferito  “Il panino giusto”. Osservo Hanna mentre mangia un hamburger e noto le sue piccole dita affusolata da suonatrice di pianoforte. Una puntina di maionese le si posa sull’angolo della piccola bocca cuore. Con degli strattoni cerca di spostarsi i lunghi capelli lisci dietro le orecchie: è molto buffa. Mentre la guardo mi rendo conto che la conosco da più di dieci anni: un sacco di tempo.
       Finito il pranzetto tra amiche, torno a casa e mi dedico al libro che sto scrivendo in attesa del ritorno di mio marito.
   Quando arriva Filippo, cuciniamo insieme la nostra pasta preferita e ci mettiamo accovacciati a vedere, per la millesima volta, Pearl Harbor.
       Più lo guardo e più mi rendo conto che mi sono innamorata di lui come quando ci si addormenta: prima piano piano, poi profondamente.

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